Analisi storica dell’evoluzione della responsabilità contrattuale del medico veterinario

Colui che esercita la professione veterinaria, da alcuni decenni, avrà sicuramente notato come il rapporto con il cliente si sia gradualmente modificato da una relazione paternalistica ad una paritaria.
Nell’ordinamento legislativo precedente gli anni settanta del secolo passato, si faceva prevalente riferimento all’art. 2236 del C.C. Detta norma recita che “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave” (nel diritto italiano, si intende per dolo la volontà cosciente di una persona di arrecare danno ad altri). La malpratica quindi, nell’anteguerra e nei decenni seguenti la stessa, tendeva a tutelare il medico veterinario in ragione della complessità generica della sua opera professionale. Veniva solamente punito l’errore grossolano che non poteva trovare escusazione. Oltretutto l’onere della prova, cioè il nesso eziologico tra l’evento dannoso e la condotta del medico veterinario, doveva essere provato dal detentore/proprietario dell’animale.
Dagli anni ottanta in poi, si applica invece prevalentemente il principio normativo riportato dall’art. 2043 del C.C. Questo recita che “Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
La Legge Balduzzi (n. 189/2012) portò uno sconvolgimento nell’interpretazione della malpratica. Tanto che la Suprema Corte di Cassazione (Sez. IV Ord. n. 8940/2014) ritenne opportuno ricordare che “La norma, dunque, non induce il superamento dell’orientamento tradizionale sulla responsabilità da contratto e sulle sue implicazioni”. Si dovrà aspettare però la Legge n. 24/2017, “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”, per veder assunto quale principio prioritario di responsabilità il fatto illecito (cc. Art. 2043).
Oggi l’onere della prova non è più a carico del detentore/proprietario dell’animale, ma sarà il medico veterinario accusato di malpratica a dover dimostrare, in ragione delle “linee guida” e delle “buone pratiche” di aver agito correttamente. La nuova interpretazione giurisprudenziale, dovrà essere forzatamente assunta anche dal medico veterinario che accetti di svolgere una consulenza tecnica d’ufficio (CTU) per un Giudice. Questi dovrà infatti appurare, nel rispondere ai quesiti posti dallo stesso, se il Collega convenuto abbia operato secondo dei protocolli corretti, nel rispetto dei principi dell’osservanza, perizia, prudenza e diligenza.
Chiunque desidera svolgere il delicato compito di consulente d’ufficio, dovrà tenersi costantemente aggiornato nella medicina legale forense veterinaria, onde non favorire, tramite la sua “ignoranza”, una ingiustizia verso colui che è stato danneggiato da una malpratica professionale.
Prof. Ferdinando Meregaglia
Segretario Melefovet
Pubblicato da: segreteria AIVPA
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